Roma, 6 dic. (Adnkronos) - Per la soluzione della crisi somala non servono raid aerei fini a se stessi ma un vero ''piano Marshall, un piano politico, socio economico e di sicurezza che coinvolga tutte le forze democratiche della Somalia''. E l'Italia, per i forti legami storici e la conoscenza che ha della Somalia, dovrebbe essere la ''capofila di questa iniziativa''. A spiegarlo all'Adnkronos e' Yusuf Mohamed Ismail, consigliere del 'presidente' del Puntland, Abdullahi Yusuf Ahmed, che comprende le cinque province del nord est della Somalia che si sono dichiarate autonome nel 1998 e che non riconoscono il cosidetto governo nazionale di transizione (Tng) chiedendo la formazione di un governo federale.
''Iniziative
militari fini a se stesse non servono
assolutamente a nulla anzi sono
controproducenti - afferma Yusuf -. Quello che
serve e' un piano Marshall dal punto di vista
socio economico e della sicurezza che ponga le
basi per la ricostruzione dello stato somalo.
All'Italia ci uniscono legami storici forti,
che non hanno bisogno di un ulteriore
commento, e grazie a questi l'Italia potrebbe
dare un contributo con un valore aggiunto
notevole. E' importante pero' - aggiunge - che
proprio per la conoscenza specifica che
l'Italia ha della Somalia si faccia a sua
volta portavoce e capofila di questa
iniziativa del piano Marshall che serva alla
ricostruzione dalle fondamenta dello stato
somalo''.
Non ci sono pero'
dubbi sulla posizione del Puntland, appoggiato
dall'Etiopia che si e' gia' schierata con gli
Stati Uniti nella lotta al terrorismo
internazionale di matrice islamica. Da anni,
ricorda Yusuf, arrivano da Garoe, la
'capitale' della regione autonoma, denunce
dell'attivita' dei gruppi fondamentalisti e
dell'organizzazione al Itthad che porta avanti
un ''progetto dei fondamentalisti di creare
consenso politico per assumere la leadership
in Somalia''.
Un progetto che
non e' recente: ''I gruppi fondamentalisti
preparavano un colpo di stato militare gia'
negli ultimi anni del regime di Siad Barre, ed
il collasso del regime, nel 1991, li colse
mentre i preparativi erano a buon punto''.
L'anno dopo cercarono di prendere il controllo
delle regioni ora riunite nel Puntland: fu uno
scontro tremendo, ci furono 1500 morti e 6mila
feriti e noi sventammo l'attacco solo con le
nostre forze''.
Durante gli anni
della guerra civile e fino ad oggi, nella
Somalia completamente preda dell'anarchia sono
state due le risorse cui si e' potuto
rivolgere l'individuo somalo, lo spirito di
clan, cui hanno fatto appello i signori della
guerra, e l'identita' religiosa, visto che la
stragrande maggioranza dei somali sono
musulmani sunniti. ''Clan e religione sono
stati entrambi strumentalizzati a fini
politici, per la presa del potere - spiega
Yusuf - e le organizzazioni fondamentaliste
hanno costituito una forza trasversale, con lo
scopo di pilotare l'anarchia in cui e'
precipitato il paese''.
Per questo il
consigliere, ribadendo il sostegno alla
coalizione anti-terrorismo internazionale,
ricorda che e' necessaria al contempo ''una
volonta' politica di risolvere la crisi somala
con il coinvolgimento di tutte le forze
democratiche. Noi pensiamo che la soluzione
migliore alla crisi somala sia la creazione di
uno stato federale''. Ed ha parole durissime
verso il governo di transizione di Hassan:
''Non esiste nessun governo di transizione
nazionale, e' una creatura del presidente di
Gibuti con la complicita' e la connivenza di
al Itthad e tutto il resto della galassia che
essendo riusciti a prendere il controllo dei
punti nevralgici dell'economia del paese -
spiega - hanno pensato di fare il salto di
qualita' ed acquisire anche il controllo
politico creando come 'copertura' il governo
di transizione''.
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